In Provincia di Cosenza esisteva il campo di concentramento “dolce”: Il Ferramonti Tarsia per non dimenticare.

Solo da qualche tempo a seguito di  accurate ricerche storiche, stanno venendo alla luce situazioni e fatti, che serviranno a ristabilire le verità storiche, avvolte scomode, sulle quali per molto tempo si è parlato poco o taciuto ma è un dovere morale di tutti non dimenticare quanto è accaduto. Avversando con ogni mezzo anche chi nega che tali episodi siano realmente accaduti.

Una delle vicende su cui si è preferito tacere perchè verità scomoda, riguarda i campi di concentramento italiani; infatti poco si conosce sul fatto che sul suolo italico esistevano molti campi di internamento. Si stima che in Italia furono centinaia i campi di sterminio, ma che in Calabria però esisteva il campo di concentramento più grande. La nostra Regione esente dai fatti legati alla Storia Contemporanea poiché troppo lontana geograficamente, venne scelta a giusta causa come collocazione di questo campo che seppur atipico era pur sempre campo di detenzione.

L’inizio dell’attività del campo di Ferramonti cominciò il 20 giugno del 1940 quando vi giunse un primo piccolo gruppo di 160 ebrei provenienti da Roma. Nel 1943, al momento della sua liberazione, nel campo si sarebbero trovati 1 604 internati ebrei e 412 non ebrei tanto per la cronaca. Fu Eugenio Parrini ( la sua ditta, infatti, era già presente a Ferramonti dove aveva ultimato dei lavori di bonifica), personaggio vicino agli ambienti dei gerarchi fascisti  fu proprio lui a costruire il campo introdotto in calce. Con 92 capannoni situati in un perimetro di circa 160.000 m² in questa zona malarica creò di sana pianta questo campo. Il campo era stato ubicato  in una zona paludosa, che con le piogge si riempiva subito di pozze in cui spesso stagnava la malaria, per questo gli ebrei usavano chiedere il trasferimento in altri campi.

Il 20 giugno 1940 prese il comando del campo il comandante di pubblica sicurezza Paolo Salvatore. Tuttavia è dai rapporti inglesi che trovo accenno della situazione:”la malaria fu endemica nel campo,ma, in base a quanto riportato dai rapporti degli ufficiali inglesi, non era di una forma particolarmente grave e non vi furono morti attribuibili esclusivamente alla malaria; problemi come malnutrizione, assenza o insufficienza di riscaldamento, e carenze igieniche rimasero endemiche”.  Molto presto a causa della zona malsana, alcuni internati morirono per scabbia e malaria.

Il campo costruito vicino al fiume Crati nel 1940 con lo scopo di confinare elementi considerati pericolosi al regime nazi-fascista nonostante la somiglianza ai lager nazisti, si trasformò in una vera e propria cittadina munita di scuole, sinagoghe, libreria, asili, circoli culturali, e addirittura un parlamento interno con il compito di tenere i contatti con la direzione e risolvere i problemi degli internati. Il parlamento era formato dai capi camerata eletti a votazioni e un capo dei capi che doveva parlare l’italiano per mantenere il contatto con la direzione, tra i compiti dei capi camerata c’era quello di distribuire i sussidi a tutta la baracca. Su uno spiazzale polveroso venivano adunati i deportarti e sottoposti a atti di burocrazia per poi assegnare loro la baracca e munirli di corredo per il soggiorno.

All’entrata del campo vi erano alcuni edifici in muratura in cui erano alloggiate le guardie, il direttore, la segreteria e la direzione. La guarnigione del campo era composta da un segretario, un dattilografo, due motociclisti con moto guzzi 500 e un’autista con un’alfa romeo 1750. Per il controllo del perimetro era presente una milizia comandata dal capomanipolo Tallarico con delle camicie nere reclutate dai paesi vicini. All’interno invece vi erano dieci agenti di sicurezza agli ordini del maresciallo Gaetano Marrari.

L’infermeria era diretta dal dottor Rossi, che non avendo nessun titolo, dopo molte lamentele venne sostituito da medici internati che crearono un vero pronto soccorso funzionante 24 ore su 24 con una farmacia funzionante. Il 10 luglio venne reso noto il regolamento del campo che prevedeva tre appelli al giorno che poi divennero uno ogni due giorni, non si poteva uscire dalle baracche prima delle sette e dopo le ventuno, non si potevano leggere riviste politiche e non si potevano utilizzare apparecchi fotografici, anche se esistono alcune foto del campo. Senza dubbio questo fu un campo molto sui generis,il direttore adottò sempre un comportamento di massima tolleranza, anche se voleva sempre che rimanesse un’apparenza di pieno rispetto del regolamento per non subire controlli accurati da parte del ministero. Venne aperta una mensa comunale che tuttavia venne subito chiusa a causa del cibo pessimo e venne costruita una cucina in ogni baracca.

Nel campo, dopo il decreto che obbligava tutti gli ebrei presenti in Italia a essere rinchiusi in campi di concentramento entrarono diversi ebrei provenienti da diversi stati, poiche’ non era mai stata cancellata la legge che permetteva l’immigrazione di chiunque lo desiderasse. A Ferramonti, vista la durata della permanenza, si iniziarono a fondare alcuni ritrovi come:la biblioteca che all’inizio disponeva di 68 libri, ma che poi grazie all’aiuto di Israel Kalk raggiunse la quota di qualche centinaio. Egli inoltre mandava aiuti sotto forma di vestiti e giochi e finanziò la costruzione di bagni. Si aprirono diversi corsi di lingue e perfino una scuola che seguiva il programma delle scuole pubbliche modificato appositamente per gli studenti presenti nel campo provenienti da diversi paesi. Oltre alla biblioteca e alla scuola si era costruito un Tempio. Dal soffitto scendevano trenta candelabri in legno con due candele ciascuno. Inoltre l’organizzazione di Ferramonti, acquistava una nuova figura che era quella di giudice di pace e nello stesso tempo si chiese una parte del cimitero di Tarsia per seppellire i morti ebrei.

Il 24 marzo 1942 giunse nel campo di concentramento calabrese Riccardo Pacifici, rabbino capo di Genova. Al momento della visita erano presenti nel campo 1.400 ebrei. Il campo venne requisito dagli alleati e modificato in base, molti internati si misero al servizio dell’ esercito britannico.
Il 10 ottobre si ebbe un grande momento di gioia quando arrivo’ un mezzo della Brigata Ebraica che aveva come simbolo di riconoscimento un Maghen David. Il campo di Ferramonti fu di aiuto ai paesi limitrofi grazie ai presenti acculturati e tra questi molti medici che potevano aiutare i malati dei paesi vicini.

Il campo fu liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, ma molti ex-internati rimasero a Ferramonti anche negli anni successivi e il campo di Ferramonti fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945. Conseguentemente, dal punto di vista cronologico degli eventi della seconda guerra mondiale, ha già un suo peculiare primato: fu in assoluto il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l’ultimo ad essere formalmente chiuso.
Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Cds
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.