Archivio mensile : Settembre 2013

Castello Normanno Svevo di Vibo Valentia.

Sorge nel comune più popoloso della Costa degli Dei: il Castello Normanno Svevo, nel luogo che hai tempi che furono era l’acropoli di Hipponion. L’antica Hipponion fu una delle più importanti città della Magna Graecia, divenuta Vibo Valentia nel II secolo a.C. Dopo la colonizzazione Romana. Nonostante volgarmente la prima struttura è attribuita ai Normanni in realtà, l’intera struttura è Sveva.

Una fonte del tempo Normanna quella del cronista Goffredo Malaterra ricorda il sopraggiungere del Guiscardo:” altiore cucumine montium Vibonentium” scritto comunque interpretato male dagli storici inquanto il maniero è attribuibile allo Svevo Federico II. Costruito a cavallo di molti periodi a partire da Federico II che incaricò Matteo Marcopola di fortificare quella città e di dotarla di un maniero, fino a Carlo II.

Tuttavia, la mancanza di fonti documentabili e di dati archeologici non permettono uno studio sistematico sulla prima fortificazione, molte incertezze investono a pieno la consapevolezza di dare una datazione storica all’intero edificio che tutt’oggi campeggia sull’odierna Vibo. Pochissimi risultano essere gli elementi studiabili di origine Sveva, oggi però possiamo chiaramente dire che i pochi elementi sono facilmente distinguibili: la torre angolare ed un portale con conci ben sagomati.

L’età Angioina vide a conti fatti la messa a punto di altre opere di fortificazione, su mura urbane e castello. per dare slancio alla vita della città. Ampliato parecchie volte venne infine rimaneggiato dal Pignatelli che ne fece un palazzo gentilizio e tenuta nobiliare. Nel 1501 proprio sotto la famiglia Pignatelli si provvede a costruire una doppia porta nell’ala meridionale del maniero, e da una rampa a cui si accedeva allo stemma della famiglia Pignatelli.

La situazione attuale del castello non può essere conosciuta nel dettaglio, perchè non è pervenuta la pianta redatta nel 1770 dall’Arch. Giuseppe Vinci. Inoltre in occasione del sisma del 1783 che devastò tutta la Calabria Ultra il maniero venne drasticamente lesionato ed in poco tempo ricostruito, dotaandolo di un secondo piano.

Tuttavia, risulta studiabile in toto la pianta delineata nel 1812 dall’ Ing. Borrelli e conservata nella Biblioteca Comunale di Napoli, la capitale del Regno. Restaurato intorno agli anni ’70 del 900 ospita il Museo con la conservazione dei reperti provenienti dall’antica Hipponion e dal territorio circostante.

Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie.
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.

Nicotera: La Vergine delle Grazie di Antonello Gagini e l’omonimo convento.

  • convento
  • gagini

I Gagini furono una famiglia di rinomati scalpellini e scultori di origine Siciliana originari di Palermo, una scuola abbondantissima quella di Antonellus de Gagino uno dei più importanti architetti del rinascimento, tra l’altra cosa considerato seguace di Antonello da Messina, mentre Antonello, visto come fiore all’occhiello del Rinascimento, considerato “copista” di quest’ultimo.

Iniziò giovanissimo la sua produzione e nel 1498 acquisì il titolo di magister, cita il Di Marzo in ogni sua opera che il giovane scultore amava firmare le sue opere così:” Opus Antonello Gagini”, dopo numerose decisioni spostò i suoi interessi commerciali verso la città di Messina dove iniziò ad intraprendere rete commerciale di panno Piemontese da rivendere in Calabria, ed è proprio dalla città di Messina che scolpisce appena ventenne l’opera in marmo bianco La Vergine delle Grazie scolpita dalle sapienti mani dello scultore siculo, risulta essere di incantevole bellezza, e ad oggi è perfettamente conservata all’interno della Cattedrale di Nicotera a destra del presbitero.

Commissionata dal Beato Paolo da Sinopoli per essere posta nella nicchia principale dell’omonimo convento delle Grazie dei frati Minori Osservanti,la statua, fu poi translata dopo l’evento sismico dell’83 del secolo 1700 il Pagano dopo attente ricerche afferma :” scolpita a Messina dallo scultore appena ventenne nel 1498 (…) commissionata dal frate Beato Paolo dimorante nel convento nicoterese”.

Le fonti storiche in merito parlano chiaro attraverso una Relatio ad Sacra limina, 581A, Nicotera, 1649, in particolare ff.n.122.v del 1649 dell’allora vescovo Monsignor Baldo Romano risulta essere molto vicina alla verità storica tanto da appurare come il simulacro venne fatto giungere all’urbe di Nicotera, nel quale scorgo tale frase:” l’Immagine di essa fu portata da una nave” effettivamente l’Imago della Vergine delle Grazie fu portata a Nicotera per via mare e quando si avvicinò al luogo della fondazione del convento non volle andare più avanti.

Per quanto riguarda il convento dei frati minori Osservanti dedicata a Santa Maria delle Grazie poche e scarne sono le notizie in merito ma è noto che i frati minori dell’Osservanza guidati dal Beato Paolo da Sinopoli, arrivarono a Nicotera solo nella prima metà del XV secolo, per stabilirsi nel già presente convento di Santa Maria delle Grazie.

Indubbiamente è attraverso le parole di Luigi D’Avanzo nella Descrizione di Nicotera in apprezzo del 1646 estratto da “ Calabria Nobilissima” anno XIX-n 49-50 del 1965 a pag 13 annota:”(..) situato verso ponente (…) e quindi fuori le mura del borgo. Si innalzò qui una grande chiesa con tutti apparati e comodità per celebrare e ben 4 campane. Interviene il D’Avanzo nell’ operetta citata in calce sempre a pag 13 :” in esso risiedevano 22 padri dell’ordine Zoccolanti (…)et un Guardiano dove vi è l’habitazione con tutte le comodità et viveno di carità” secondo i precetti di San Francesco da Paola.

Notevoli fonti storiche del periodo in lingua latina aggiungono:” Monasterius adest circa 100 passus distant da urbe”, l’ordine Francescano effettivamente sorgeva fuori la città immerso nelle campagne Nicoteresi, a conti fatti risulta fondamentale esprimere cosa i frati Osservanti trovarono nel luogo citando ancora le fonti d’archivio:”et in maiori altari, adest Imago marmorea B.M semper Virginis cum Iesu Puero in manibus”effettivamente si tratta della Madonna del Gagini parole dello storico Nicoterese D. Taccone Gallucci ,Monografia della Diocesi di Nicotera e Tropea Reggio Calabria 1904 p.38. Risulta essere di estrema autorevolezza il mettere nero su bianco quanto afferma anche lo storico nicoterese Natale Pagano in un suo scritto apparso su Calabria Sconosciuta che porta titolo I Gagini e la Calabria, in Calabria Sconosciuta n.68/1995, da cui è estrapolata la frase in virgolettato in calce e dove trovo nota a proposito di quanto detto proprio all’indomani del gran tremuoto:” dell’immensa ricchezza di questo complesso conventuale non rimane nulla”effettivamente il sisma spazzò via il Convento dedicato alle Grazie, mentre rimane ancora testimonianza su numerosissimi documenti dell’excursus della statua marmorea cita ancora il Pagano nella medesima operetta su Calabria Sconosciuta affermando :”secondo la tradizione orale il Beato Paolo, (…) portò sulle proprie spalle la statua marmorea verso il Convento nicoterese”.

Risulta essere di importanza fondamentale gli studi condotti dal valoroso storico del Gagini, l’abbate Gioacchino Di Marzo nella sua dotta opera Gagini e la scultura in Palermo nei secoli XV e XVI, 1880 a pag 175-179 annota :” narravano di una statua gaginesca in Nicotera, esce in questa frase, e ben farebbe mestiere più di una gita in quell’estremo lembo di terra (…) a discoprirvi e richiamarvi in pregio ampi tesori d’arte, che dalla Sicilia vi pervennero ed ora giacciono in profondissimo oblio”.

Purtroppo questo dolce rimprovero ha un grande strato di verità, il gusto del bello fu sempre presente in Calabria e Nicotera ne è testimonianza. Dalle parole il Di Marzo ci mette i fatti e a seguito di studi si porta a Nicotera per studiare la pregievole statua a tutto tondo. In un famoso documento del Di Marzo apparso nella sua opera più importante citata in calce dice a pag 169:” Magister Antonellus de Gagini marmorius Messina “ ed è proprio da Messina che lo scultore fa pervenire questa primissima opera oggi conservata a Nicotera “ ed impiegata dall’autore come modello per le altre opere” annota W. Kruft nell’opera Gagini as coautor with Michelangelo on the tomb of Pope Julius II pag 598.

Inoltre Le figure giovanili di Madonne di Antonello Gagini per antichità viva pag24-34 dove dopo attenta lettura scorgo tale affermazione:”del Gagini è anche la Madonna delle Grazie della Cattedrale di Nicotera (…)che si richiama direttamente alla Madonna di F. Laurana, conservata nella Cattedrale di Palermo,(…)e quindi il canone introdotto in Sicilia dallo scultore Dalmata, fatto di saldezza di volumi” anche il Laurana fu maestro del Gagini e le opere storiche confermano tale tesi. Senza dubbio non possiamo non citare anche le parole di Vito Maesano in La Madonna delle Grazie di Nicotera bollettino centri studi medmei anno II 1975,n 3 p 8-10 dove afferma con dovizia ed insinua nello studioso il dubbio della diversa paternità dell’opera:” la statua marmorea (…) da alcuni attribuita al Gagini, si trova nella Cattedrale a partire dalla distruzione del convento dei minimi Osservanti” ma la scuola del Gagini è abbondantissima ed esistono una serie di statue simili a quella di Nicotera.

Resta il fatto che la giunonica opera a figura intera è opera giovanile di Antonello Gagini, dove si riscontrano l’eleganza di Francesco Laurana ed i caratteri tradizionali del Gagini, ed ancora la dolcezza del volto la perfezione delle forme ed assenza di panneggio delle forme, assieme alla poca naturalezza delle mani è riscontrabile nella stessa Vergine di Nicotera. Si narra che suddetta statua sia davvero miracolosa e che abbia salvato il Convento proprio in occasione dell’incursione saracena del 1638 sulla questione si pone un documento molto interessante scritto in latino rinvenuto in loco e che cita:” (..) et est quidam dicta Imago B. Marieae miraculosissima quia inter miracula, quae in dies facit, (…) 20 iunii 1638”. Tra le numerose nozioni storiche rinvenute in loco si può riscontrare che Marcello Fossataro terziario francescano, a seguito del “male piccolo” chiamati così gli attacchi epilettici ebbe una visione della Madonna delle Grazie e si mise a suo pieno servizio alla statua di Nicotera, dopo di chè si recò a Napoli per fondare un’importante collegio.

E’ opportuno a questo punto citare uno dei giorni più difficili che il Convento delle Grazie subì, nel 1638 il 20 di giugno, come spesso accadeva nelle coste meridionali Nicotera subì un cruento attacco turchesco che distrusse il centro abitato ma le cronache del tempo non sono concordi sugli effetti che l’incursione ebbe sul Convento, infatti secondo i resoconti vescovili sostengono che il convento rimase illeso.

Tuttavia secondo altri autori fu il solo convento delle Grazie ad essere saccheggiato questa descrizione fu raccontata nella Cronistoria civile e religiosa della Città di Nicotera per Diego Dott. Corso, a cura di Ernesto Gligora, Nicotera 2002, 95:”Saccheggiata la Chiesa ed il Convento, guasto il lanificio dissipate le conserve nei magazzini, fatti captivi molti frati (…)”. Il convento si riprese divenne florido e ricco e fino al gran sisma del ’83 fu in piena attività tanto che nel 1771 si svolsero rinomati lavori di restauro.

Le notizie storiche ripartono a distanza di anni dopo l’evento sismico del 1783, e proprio nel 1788, “la Cassa Sacra affidava al Vicario Capitolare della Diocesi di Nicotera il patrimonio del Convento delle Grazie” citazione dedotta da G. Scamardì, Nicotera Concattedrale di Santa Maria Assunta,in S Valtieri ed,Cattedrali di Calabria Gangemi ,Roma 2002 pag 90-100, effettivamente secondo le disposizioni della Cassa Sacra era impossibile la ricostruzione ed i paramenti ceduti alla Chiesa madre mentre l’altare maggiore ceduto alla Parrocchia di San Giuseppe dopo numerose controversie con la diocesi di Limbadi.

Proprio su esplicito desiderio di Monsignor Coppola su motivazioni che non c’ è dato conoscere l’altare venne trasferito e montato nella Chiesa del rione San Giuseppe nel 1798 dato tratto dall’archivio storico di Catanzaro Fondo Cassa Sacra b67 fascicolo 1072, Carte relative all’altare di marmo dei PP. Minimi Osservanti chiesto per comodo di quella cattedrale, e per la chiesa di Limbadi,come dentro Appendice documentaria n.5.

Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie
Centro Studi e Ricerche Comitati Due Sicilie

Annibale in Calabria.

Annibale Barca (Cartagine, 247 a.c – Libyssa, 183 a.C.) condottiero cartaginese, famoso per le sue vittorie durante le guerre puniche. E’ Livio lo storico per eccellenza che pone luce sulle gesta del Cartaginese in tutta la sua marcia per la conquista del suolo italico fino alla discesa nel Bruzio (Calabria).

La discesa in Calabria di Annibale secondo le parole di Livio, fu quando si trovò al corrente che Tito Antonio Crispino si trovava alla testa di due legioni per raggiungere Locri con lo scopo di tentare di strappare la città a Magone il Sannita, Annibale sostiene Livio:” al corrente che Quinzio Crispino scendeva a Locri, da Crotone si spostò rapidamente verso l’Apulia per tentare di sorprendere l’esercito di Marcello (1)”.

Vista la vana possibilità di riconquistare Salapia, Annibale si diresse nel Bruzio, alla volta di Locri, per liberarla dall’assedio cronicizza così Renato Russo:” poiché Cincio Alimento la stava assediando” servendosi di macchine da guerra provenienti dalla Sicilia (2). Magone che stava per arrendersi venne raggiunto dalla notizia che Marcello era morto e che i numidi lo stavano raggiungendo.

Giunti i cavalieri Numidi, Magone dette ordine di uscire facendo fragore per confondere il nemico e così andò interviene Livio dicendo:” i Romani furono disorientati” presi da paura si sbandarono molti furono uccisi ed altri dispersi nelle campagne Locresi(3).

Tuttavia è il De Sanctis in Storia dei Romani che annota:” Se gli ozi di Capua avevano cominciato ad infiaccare la forte tempra dell’esercito punico e la perdita di Capua aveva segnato l’inizio della discesa della parabola di Annibale, (…) che le speranze di rivincita del Cartaginese s’infransero, (…)aveva posto fine alla avventura annibalica in Italia.

E’ nuovamente Livio che illustra la situazione ponendosi così per i posteri:” Abbiamo lasciato Annibale nel Bruzio accorso in aiuto di Annone per liberarlo dall’assedio di Locri, quanto agli eserciti Romani il Console Claudio Nerone era in marcia verso la Lucania ed il Bruzio. Senonchè Annibale decise di muoversi per andare incontro ad Asdrubale ed affrontò i Romani di Ostilio Tubolo facendogli perdere 4000 soldati e 9 insegne militari”(4).

Annibale riparò cosi, per l’ennesima volta nel Bruzio questo passo uno dei più tortuosi di Livio complicato dalla farragginosità delle decisioni dei due eserciti che scelsero mosse sbagliate (5). La situazione non è delle più confortevoli per Annibale, il console Servilio Cepione ch’era nel Bruzio, raccolse la resa di numerose città che avevano in passato patteggiato per il Cartaginese.

Secondo gli scritti dell’annalista Valerio Anziante il console si sarebbe scontrato presso Crotone con Annibale, “ lasciando sul campo 5000 caduti” afferma Renato Russo(6). Nel 204 il console Tuditano assegnato al Bruzio attaccò Annibale infliggendogli una sonora sconfitta erano lontani gli anni dello splendore cartaginese. I Bruzi rimasero con lui tranne altre città tra cui Cosentia, Berge (…).

Purtroppo tale notizia non è menzionata su altre fonti lasciando gli storico in comune disaccordo, ammesso che sia vera chiosa ancora il Russo, fu l’ultima battaglia che lo stratega cartaginese compì prima di essere richiamato in patria. La terra del Bruzio accolse come detto in calce, Annibale dolente delle sventure sue e della patria.

I Romani consci che la stella di Annibale era tramontata si comportavano come se lui non esistesse, riannodando l’Italia con lo scopo di buttar fuori il Cartaginese per mano di Scipione. Gli Italici dopo Canne nel 216 a.c. Si schierarono contro Roma i dati alla mano espressi in calce danno atto al concetto espresso.

I Calabresi sconvolti dall’aiuto prestato a Locri sostiene Livio :”di loro iniziativa, arruolano 15.000 uomini si volgono ad assalire Crotone (…) ritenendo che avrebbero acquistato potenza, se avessero ottenuto sulla costa una città notevole per la presenza di un porto e di mura”(7).

Annibale era assieme ai Bruzi padrone della costa ionica, dell’oggi detta Calabria. Dove costuì un grande deposito degli impedimenta che gli consentiva di muoversi libero per la Penisola Italica. Ebbe pochi alleati tra questi i Bruzi poiché molti fecero ritorno alla fedeltà romana, canta così Stabone che non potendo controllare il Tirreno distrusse Terina(8).

Ormai, Annibale non era più sicuro del suo ridottissimo Ionio proprio sugli ultimissimi giorni di permanenza in Calabria è Appiano a cantare le sorti:”Mentre i Cartaginesi venivano continuamente sconfitti da Scipione, quelli nel Bruzio che lo vennero a sapere defenziarono da Annibale, (…) quindi lasciato un’adeguato presidio nella città, trasferiva a Crotone gli altri tremila e cinquecento, ritenendo la città adatta, e facendone un deposito e punto di partenza verso altre città”(9).

I Bruzi tentarono alla fine di tornare ai Romani mentre Annibale si dava a saccheggi per tornare in Patria almeno col bottino di quella città. Da Reggio a Crotone saccheggiò duramente ed era pronto a partire a malincuore, già da tempo aveva allestito una pesante flotta con il legno della Sila ed era ormeggiata a largo.

Scipione che in Africa aveva ripetutamente battuto i Cartaginesi si trovò a stipulare la pace chiedendo così il ritiro dall’Italia delle truppe Annibaliche. Ma al momento di salpare continua Appiano:” lo stesso Annibale, sapendo che gli Italici che avevano militato con lui erano ben addestrati, cercava di convincerli con molte promesse a seguirlo in Africa” alcuni che commisero delitti lo seguirono gli altri si rifiutarono.

Decise di far scegliere ai suoi seguaci uno schiavo ma molti si rifiutarono cita ancora Livio:” fece saettare il restante dell’esercito italico affinchè non fosse un giorno di aiuto ai Romani”(10). Tuttavia non si fermò qui, fece sgozzare i cavalli non potendoli portare in Africa.

Finì così la migliore gioventù Bruzia come popolo e come esercito :”non restò loro che l’ambigua sorte di servi pubblici” conferma ciò anche Aulo Gellio (11). Roma decise di presidiare questa terra ribelle con molte colonie: Crotone,Scolacio, Turi, Copia, Hipponion, Reggio, Memerto.

A conti fatti nemmeno negli anni successivi i Romani ebbero grande stima del Bruzio chiosa il Nisticò così :”E poiché non mancarono mai quelli che dicono male della Calabria, a cominciare dagli stessi Calabresi, ecco tra i primi umanisti l’accusa ai Bruziani, di essere in quanto esecutori di giustizia, i flagellatori e i crocifissori di Cristo!(12) Né fa un’accorata ed apriostica confutazione padre Fiore(13).

Inoltre, secondo ancora le parole di Livio:”la maggior parte erano Bruzi” che lo seguirono a Zama (14). Le fonti storiche sono discordanti su quanti Italici seguirono Annibale e ancora di quanti perirono in Africa per mano di Scipione si parla di 15.000 giovani Bruzi trasportati da una imponente flotta.

1. Livio, XXVII 25.
2. Renato Russo La Battaglia di Canne Editrice Rotas pag 439.
3. Livio, XXVII 28.
4. Livio , XXXVII 37.
5. Livio XXVII 36,13.
6. Renato Russo , opera citata pag 547.
7. Livio XXIV 3.
8. Strabone, VI.
9. Appiano, cit.
10. Livio, cit 61.
11. Nocte, Atticae X, 19.
12. Ulderico Nisticò, saggio Questa fu la fine dell’impresa di Annibale nel Bruzio , pag 13.
13. Calabria Illustrata, tomo I Rubbettino 1999, a cura di Ulderico Nisticò.
14. Livio XXX 33.
 
Nella foto in alto: L’enorme elefante di pietra alle pendici della Sila Grande, nel territorio di Campana, si racconta possa essere stato creato, in onore dei pachidermi che accompagnarono Annibale nel suo viaggio.

Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie
Centro Studi e Ricerche
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